Pionieri # 1. Hugh Ferriss, il renderista analogico dal Nuovo Mondo
Alcuni personaggi che attraversano la storia fanno parte di quella genìa che Philip Kindred Dick definiva “precog”. Forse lo stesso Leonardo da Vinci, quando progettava le machine per il volo, rientrava nella categoria dei Sognatori di armi sempre di dickiana memoria. Altri protagonisti attraversano e interpretano la loro storia contemporanea in maniera originale, anticipandone i segni, i suoni, i comportamenti sociali, i desideri in una realtà amplificata; offrono così al mondo le loro visioni in una climax iper-reale rassicurante ma nel contempo proiettando lunghe ombre di inquietudine che non ci permettono di vedere oltre il confine in cui questi esseri umani, in solitudine, si sono spinti.
Similmente, agli inizi degli anni ’60 il primo volo orbitale in solitudine di Jurij Alekseevič Gagarinattraeva e sgomentava l’umanità, costretta a guardare l’ignoto oltre la stratosfera nel gelido buio siderale.
Adesso immaginate la potenza visionaria di un Piranesi aggirarsi in una New York dei primi anni 10 del secolo scorso. Stavolta, però, non si celebrano i fasti e la decadenza di un impero che fu, bensì la magnificenza di un impero nascente, di un Nuovo Mondo così come lo celebrava la n°9 sinfonia di Antonin Dvořák composta appena 4 anni dopo la nascita di Hugh Ferriss. Un pioniere.
Erano quelli i tempi in cui il giovane Ferriss, giunto a New York, la capitale del Nuovo Mondo nel 1912, dopo gli studi in architettura presso la Washington University di Saint Louis, si apprestava ad iniziare la sua carriera di architetto.
In realtà progettò e realizzò ben pochi edifici per sé, preferì dedicare il suo talento al servizio di altri studi di progettazione, favorito dal suo innato talento per le prospettive di architettura. Osservando l’immensa produzione di disegni realizzati per una vasta e facoltosa committenza non ci è difficile riconoscere la potenza evocativa e le analogie delle centrali idro-elettriche o dei grattacieli del suo coetaneo e contemporaneo Antonio Sant’Elia, il futurista, o anche le scenografie visionarie della megalopoli di Otto Hunte, del capolavoro in pellicola Metropolis di Fritz Lang del 1927. Scenografie dunque visionarie, ma che avrebbero anticipato solo di qualche anno la nuova estetica della città del futuro, dove, come mai prima nella storia dell’umanità, milioni di persone avrebbero abitato vaste aree urbanizzate in alti edifici con strutture di acciaio e vetro illuminati artificialmente e i collegamenti sarebbero avvenuti per mezzo di treni su monorotaie e automobili private. Il capitale, le banche e le industrie avrebbero presto spodestato gli ultimi regni di re e regine da antiche e obsolete regie e palazzi orizzontali, ripiegati su stessi a corte come castelli di ascendenza medioevale, rappresentazione di un mondo antico che andava scomparendo. Ora il nuovo potere oligarchico avrebbe risieduto nei palazzi più alti e più luminosi della metropoli. La trasparenza del potere, pur conservando la propria arrogante inviolabilità, si sostituisce alle spesse mura che celano una vita separata dal mondo esterno.
New York all’epoca era l’unica città verticale dell’intero pianeta; incarnava in pieno il simbolo di quella trasformazione e Ferriss affiancò ad una produzione di disegni, rivolta ad una clientela di potenti Società legate all’industria e al capitale, anche disegni delle proprie architetture immaginarie comprendenti dighe, centrali idroelettriche, fabbriche, aeroporti, dove potenti quadrimotori a elica multipiano atterravano vomitando passeggeri, o hangar dove questi aeroplani venivano assemblati sotto giganteschi carri ponte. Tutto questo sotto il segno e la rappresentazione dello spirito del tempo, spingendo il renderista analogico ai confini suborbitali di rappresentazioni urbanistiche ed architettoniche positiviste. Queste incarnavano il trionfo della tecnica pianificatrice e regolatrice ma accogliendo un’allarmante premonizione generatrice di oscuri presagi calati su di una umanità oppressa da questi stessi paesaggi affetti costantemente da un angosciante gigantismo monumentale.
La Zoning Resolution, ossia la legge di zonizzazione che disciplinava la tipologia delle costruzioni senza imporre limiti di altezza alle torri proporzionandole alla percentuale della dimensione del lotto, permise a Ferriss di sperimentare al massimo le potenzialità della sua raffinata tecnica di rappresentazione prospettica, spesse volte eseguita con suggestive viste notturne, dove la luce radente, proveniente dal basso verso l’alto, immersa in una impercettibile nebbia simile alla tecnica fotografica del soft focus, provocava seducenti chiaroscuri e comunicava all’osservatore forti emozioni. Molti di questi disegni furono raccolti ed in seguito pubblicati nel 1929 in un libro che non a caso si intitolava The Metropolis of Tomorrow.
Nel 1930 la 20th Century Fox distribuì il film di fantascienza Just Imagine, che fantasticava di una New York del futuro ambientata nel 1980. Gli scenografi di Hollywood costruirono un enorme plastico della metropoli all’interno di un hangar da dirigibile. Visivamente, la città aveva molte analogie con i modelli e le idee degli architetti e progettisti degli anni ’20, ed i direttori artistici Stephen Goosson e Ralph Hammeras dichiararono di essersi ispirati principalmente alle opere di Hugh Ferriss. Le alte torri, le arterie di trasporto multi-livello e i ponti grattacielo rappresentano la diffusione delle visioni di Ferriss che vanno ad influenzare decisamente la cultura mainstream americana.
Inevitabile, infine, che intorno al nuovo paesaggio metropolitano di Ferriss proliferasse anche una nuova letteratura fatta da moderni eroi che, in tempi in cui tutto era possibile, diventavano Super mandando in pensione i colleghi della mitologia del vecchio continente. Nata dalla fantasia di Bill Finger nel 1939, Gotham City è la megalopoli neogotica dove piove quasi sempre ed è perennemente notte e dove Batman, l’eroe oscuro, svetta sulle guglie dei grattacieli più alti: anche questa produzione è debitrice delle atmosfere e delle architetture di Ferriss così come lo è, ancora dopo 45 anni, in Blade Runner, una Los Angeles del 2025 trasfigurata e distopica, non più metropoli analogica ma digitale, globalizzata e post-industriale. E questo capolavoro di Ridley Scott del 1984 non è tratto da Do Androids Dream of Electric Sheep? Sì, ancora una volta c’è Philip K. Dick. Anche lui, del resto, è uno di quegli uomini che ha precorso i tempi ed è stato nella letteratura un visionario così come lo erano i suoi precog e i suoi “sognatori di armi”. Attraversare la storia, anticipare gli eventi è una pratica rara: come un qualcosa già accaduto, domani.